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Elena Aceto
19 Marzo 2018 / Pubblicato in Artisti rappresentati

Elettronica e sperimentazione a Torino. Intervista doppia a Cop-Killin’ Beat e Nicolò dei Movion

Entrambi artisti della scuderia di Calista Records, prima label italiana con l’intero roster iscritto a Soundreef, sono i protagonisti della mostra Spazi Sonori al Minibudda (Superbudda) di Torino. La mostra è incentrata sull’indagine sonora nell’arte: “Siamo circondati da suoni, di diverse matrici e sfumature, ma spesso non ne cogliamo la vera natura.”

Ciao ragazzi, inauguriamo con voi #ContemporarySounds, settimana dedicata a musica elettronica e sperimentazione.
Siete due chitarristi con all’attivo progetti musicali che vedono una forte componente elettronica: TWEEEDO e Cop-Killin’ Beat per Andrea Pisano e MOVION per Nicolò Tamagnone.
Come siete arrivati a trovare un equilibrio (se esiste) tra analogico e digitale?

Andrea – Io nasco come chitarrista, che reputo tutt’ora il mio strumento principale. Sono cresciuto col il punk-hc e il grunge, in piena adolescenza, suonando per anni con i FUH, anche se ascolto ogni tipo di musica da sempre. Nonostante la passione per l’elettronica soprattutto quella più noise e idm sia arrivata più avanti, è una forte componente dei miei ascolti. Arrivando dal punk l’approccio analogico è inevitabile per me, difatti i miei primi lavori nascevano con il solo utilizzo di pedali per chitarra, feedback e campionatore. Non amo l’aspetto freddo del computer, che infatti non uso (se non per registrare i miei lavori), ma prediligo l’uso di macchine, chitarre, looper, nastri, giradischi. Devo toccare con mano, voglio sbagliare, stupirmi e spaventarmi. Reputo l’aspetto fisico del suonare troppo importante soprattutto perchè improvvisando cerco di lasciare molto al caso, al momento, agli errori delle macchine e dei nastri che si inceppano.
Nicolò – Nel mio caso non posso parlare di un vero e proprio equilibrio, nasco come chitarrista rock e tutto sommato il punto di partenza per me rimane quello. Negli anni mi sono poi avvicinato al mondo del noise e dell’ambient, provando quindi a portare questi miei nuovi ascolti sulla chitarra, senza però cambiare l’approccio che avevo avuto fino a quel momento con lo strumento: chitarra e stompboxes. Questo anche all’interno della band, dove rimango l’unico componente che non utilizza un pc, almeno per ora. Bisogna dire che la maggior parte dell’effettistica usata oggi sarebbe stata inimmaginabile senza l’avvento dei software, ma la ricerca di un effetto, quindi un oggetto hardware che, anche se molto sofisticato, posso toccare fisicamente, rimane per me fondamentale e insostituibile.

Oggi l’accessibilità agli strumenti puramente elettronici è molto alta e, anche in Italia, se ne fa ampio uso in diversi generi. Guardando al panorama italiano di oggi, avete degli artisti preferiti in ambito elettronico? E chi, dall’altra parte, dovrebbe a vostro parere rivedere qualcosa nell’utilizzo delle macchine?

Andrea – Devo essere sincero: non conosco moltissimo la nuova scena elettronica italiana, intesa nel senso più stretto del termine, ma sono più legato al mondo noise e ambient. I primi nomi che mi vengono in mente sono Gianluca Becuzzi, Fabio Orsi, i Luminace Ratio, Claudio Rocchetti, Luca Sigurtà, o le produzioni di etichette come Boring Machines o Fratto9.
Nicolò – Riguardo alla scena elettronica italiana, quella più legata alla sperimentazione, potrei fare tanti nomi. Cito quelli che più volte e in più ambiti sono stati per me fonte di ispirazione: Sigillum S e Simon Balestrazzi. Se invece penso all’elettronica in senso più canonico e al mondo del clubbing rimango legato alla scena romana, per intendersi tutto quello che ha fatto parte della Sounds Never Seen di Lory D fino alla più recente Elettronica Romana.
In ogni caso non penso ci sia un metodo o un approccio “più giusto” con le macchine che si utilizzano, che sia un laptop o un campionatore Akai vintage, a prescendire da quello che si suona e da dove si vuole arrivare. Sono solo dei mezzi. Un esempio: una delle performance electro/noise più intense che ho visto era suonata interamente con uno sbattiuova e un looper.

Quali sono i primi strumenti elettronici che avete impiegato nella vostra musica?

Andrea – Come dicevo prima, tutto naque dalla chitarra, un campionatore che mi regalò mio padre a 18 anni e piccoli software digitali primitivi come CoolEdit. Da li in poi ho usato qualsiasi cosa, synth, marchingegni autocostruti, pedali, giradischi preparati, vinili marci, nastri. Ora come ora sono appunto preso dall’utilizzo dei tape-loops su un vecchio multitraccia a cassette, traendo ispirazione da William Basinski come dai lavori più concreti di Lionel Marchetti o Jerome Noetinger. Il mio setup non è mai definito e varia da situazione a situazione, a sentimento.
Nicolò – Come ho detto prima, ho sempre continuato ad essere un chitarrista nel senso più stretto del termine, non ho quindi mai utilizzato campionatori, pc, giradischi ecc ecc. Se penso però al primo pedale digitale acquistato, che ha cambiato radicalmente il mio approccio con lo strumento, non posso non citare lo storico Digitech PDS8000, che fu uno dei primi sampler a pedale per chitarra ad inizio 90s. Fa ancora parte della mia pedaliera anche se i suoi anni cominciano a farsi sentire!

Quali sono gli spunti da cui partite per comporre?

Andrea – il progetto Cop-Killin’ Beat nasce come una specie di diario sonoro, difatti spesso provavo o registravo improvvisazioni solo quando ne sentivo il bisogno dopo una qualche vicenda personale, spesso scrivevo testi e cercavo di rendere in musica ciò che sentivo, nonostante sia musica strumentale. Nelle mie composizioni c’è un forte lato melanconico e volendo anche rabbioso, un sentimento che arriva da lontano, molto personale.
Nicolò – Da appassionato di cinema sperimentale, spesso e volentieri il punto di partenza delle mie improvvisazioni è la volontà di dare a ciò che vedo una colonna sonora, oppure una mia personale proiezione delle immagini in un contesto sonoro. Altrimenti l’approccio rimane completamente libero, dove un loop sbagliato può diventare la base per un nuovo spunto. Anzi, direi specialmente i loop sbagliati.

Domani sera siete protagonisti della mostra Spazi Sonori al Minibudda (Superbudda) di Torino. La mostra è incentrata sull’indagine sonora nell’arte: “Siamo circondati da suoni, di diverse matrici e sfumature, ma spesso non ne cogliamo la vera natura.”
Qual è il vostro approccio rispetto al suono, quello più grezzo e “primario”?

Andrea – A questa domanda vorrei rispondere con una citazione di John Cage : “i suoni esistono in natura per renderci conto del silenzio che li separa”. Bisogna saper ascoltare, sempre.
Nicolò – E’ capitato a tutti, passeggiando con le cuffie nelle orecchie, di proiettare la musica ascoltata in quel momento sul paesaggio/scenario davanti ai propri occhi. Togliendo poi le cuffie e ascoltando i rumori presenti si ha un sbalzo di sensazioni rispetto a quelle prima immaginate. Non sempre però l’ascolto dei rumori della città (o della natura) riporta alla realtà delle cose, ma pare solo una continuazione del brano che si stava ascoltando. Dentro a questa cosa, in un qualche modo misterioso, risiede per me l’essenza del suono.

Grazie mille ragazzi e in bocca al lupo per domani!

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